INTRODUZIONE PROTESI PER ARTO INFERIORE

Nel gennaio del 1971 viene pub- blicata su un giornale francese, la notizia della scoperta archeo- logica russa nel Kazakistan dello scheletro di una donna di 2300 anni a.C. che possedeva un piede artificiale ricavato dall’arto di un animale. Ma la protesi di arto inferiore di cui si abbia notizia documentata risale a 300 anni a.C.. Fu ritrovata nel 1858 riesumando una antica tomba sannita della città di Capua. Si trattava di un ginocchio artificiale costruito in legno e rinforzato con bronzo, cuoio e ferro. È sor- prendente come la forma della protesi di Capua fosse molto simile a quella di un ginocchio moderno tuttora in uso. Sulla faccia posteriore del ginocchio era presente una leva per limitare l’estensione. L’estrema rarità di reperti di protesi dell’antichità, ne testimonia la lentezza dell’evoluzione storica. Un vuoto enorme ci fa passare infatti dall’inizio dell’Impero Romano al XV secolo in pieno Medio Evo. Le protesi di quest’epoca, alcune delle quali sono esposte al Museo Stibbert di Firenze, erano molto simili alle armature dei cavalieri. Realizzate in ferro, erano molto pesanti, nonostante fossero provvi- ste di fori per diminuirne il peso, e venivano perciò attaccate direttamente all’armatura. Il ginocchio possedeva una fionda rotulea di protezione indi- pendente dalle porzioni femorale e tibiale e l’articolazione del ginocchio era libera. Queste protesi apparteneva- no alle classi più ricche ed erano prote- si estetiche o da guerra. I poveri, inve- ce, non si potevano permettere mate- riali costosi come il ferro o altri metal- li e il cuoio.I materiali dei poveri erano quelli della campagna, essenzial- mente il legno e le pelli e le loro protesi dovevano essere funzionali, poco costose, semplici e robuste. Non esiste alcun documento di protesi dei poveri dell’epoca dell’Impero Romano o precedenti, men- tre immagini sono giunte a noi nei dipinti e disegni degli artisti del Medio Evo e del Rinascimento, come la “Processione degli infermi” di J. Bosch (1450-1516) in cui sono ben documentate amputazioni femorali e tibiali e i disegni di P. Bruegel (1528-1569) e J. Callot (1592-1635). Queste protesi erano costituite da un pilone in legno, realizzato in un solo pezzo, intagliato in tronco d’albero o ricavato da un grosso ramo. L’invasatura, modellata nel legno, era rifinita con pelli e stoffa. Le protesi per amputazioni di gamba poggiavano sulla tuberosità tibiale a ginocchio flesso. Il cosiddetto pilone dei poveri è rimasto invariato nelle sue linee essenziali per alcuni secoli. Nel XVIII secolo apparvero le prime protesi in cuoio e metallo, come quel- la realizzata nel 1850 da F. Martin, che possedeva ginocchio e piede artico- lato. Successivamente è stato il legno il materiale più impiegato, per le sue caratteristiche di leggerezza e lavorabilità. Nel 1912 Dessouter introdusse in Inghilterra l’uso dell’alluminio nella fabbricazione delle protesi. L’esigenza degli amputati d’arto inferiore di dotarsi di una protesi è stata sen- tita fin dall’antichità. Infatti, la perdita d’autonomia conseguente all’ ampu- tazione di una gamba è certamente superiore a quella dovuta all’ amputazio- ne di un braccio. Per questa ragione le protesi di arto inferiore sono state oggetto di continue ricerche per migliorare la loro funzionalità. Fu OTTO BOCK, a ideare, nel 1919, nella sua ditta, un tipo di protesi costi- tuita da singoli elementi prefabbricati. Quest’idea, valida ancora oggi, ha aperto la strada alla produzione di componenti prefabbricati (piedi, articola- zioni di ginocchio, aste, etc.) su base industriale. Questi componenti, assemblati tra di loro, nel massimo rispetto dell’anatomia del paziente e delle norme di statica, vengono collegati all’invasatura costrui- ta su misura. La deambulazione umana, in apparenza così spontanea e naturale, è in realtà l’armonioso risultato di un insieme complesso di movimenti. È a questo per- fetto modello che si ispira la tecnologia protesica per la ricerca e lo sviluppo di nuovi componenti. Le necessità e le esigenze di ogni singolo amputato in base al livello di ampu- tazione, all’età alle condizioni fisiche generali e all’ambiente fisico e sociale, devono trovare soddisfazione. I componenti di una protesi possono essere distinti in componenti funzionali (piedi, ginocchi, articolazioni d’anca), com- ponenti strutturali (moduli di collegamento) e invasature. Le protesi per arto inferiore negli ultimi anni hanno avuto notevoli e sostan- ziali miglioramenti grazie alle tecnologie ed ai materiali che hanno coinvolto tutte le sue parti. In base al tipo di costruzione e di composizione si distin- guono oggi due sistemi di protesi:

Protesi tradizionali (esoscheletriche)
1) Invasatura
2) Ginocchio polpaccio
3) Piede
Sono costruite prevalentemente in legno e resina. Le pareti della protesi determinano la forma e hanno funzione portante. La protesi tradizionale è ancora adottata nei seguenti casi:
1. Quando l’amputato lo richiede espressamente.
2. Nelle amputazioni transtibiali distali (Syme) nelle quali la lun- ghezza del moncone non consente l’inserimento di moduli delle strutture endoscheletriche.
3. Per le protesi da bagno o per l’igiene personale.
4. Per le protesi che vengono prevalentemente usate in ambienti di lavoro polverosi e/o umidi (agricoltura, pesca, officine mecca- niche etc.) che danneggerebbero rapidamente sia la cosmesi di gomma espansa, sia i componenti metallici di una protesi sche- letrica.
Protesi modulari endoscheletriche

Il sistema di costruzione scheletrico è ormai quello prevalente- mente impiegato per i noti vantaggi costruttivi e funzionali.

1) Invasatura

2) Giunto

3) Ginocchio

4) Rivestimento cosmetico

5) Tubo modulare

6) Piede

In questo tipo di protesi la funzione portante è garantita da una struttura tubolare che può essere in alluminio, acciaio, carbonio o titanio e va scelta in base al peso della persona. L’aspetto esteriore è dato da un rivestimento in espanso morbido. Le protesi modulari scheletriche sono preferite grazie alla mag- giore duttilità di allineamento.

Le protesi di arto inferiore sono così classificate:

• Protesi parziali o totali di piede

• Protesi transtibiali

• Protesi per disarticolazione di ginocchio

• Protesi transfemorali

• Protesi per disarticolazione d’anca

• Protesi per emipelvectomia

PROTESI PER
DISARTICOLAZIONE
DI GINOCCHIO
MODULARI

PROTESI PER DEFORMITA'
CONGENITA
MODULARI
TRADIZIONALI ESOSCHELETRICHE

PROTESI PER
DISARTICOLAZIONE D'ANCA
MODULARI

PROTESI TRANSFEMORALI
MODULARI DEFINITIVE
MODULARI TEMPORANEE
TRADIZIONALI DA BAGNO
ESOSCHELETRICHE

PROTESI TRANSTIBIALI
MODULARI TEMPORANEE
MODULARI DEFINITIVE
TRADIZIONALI DA BAGNO
ESOSCHELETRICHE

PROTESI MODULARI
DEFINITIVE TRANSFEMORALI
TEMPORANEE TRANSFEMORALI
DEFINITIVE TRANSTIBIALI
TEMPORANEE TRANSTIBIALI
PER DISARTICOLAZIONE DI GINOCCHIO
PER DEFORMITA’ CONGENITA
PER DISARTICOLAZIONE D’ANCA

PROTESI TRADIZIONALI
TRANSFEMORALI
TRANSTIBIALI
PER DEFORMITA' CONGENITA
DA BAGNO

Cura e igiene quotidiana del moncone

Cura della protesi

Bendaggio del moncone

• Lavare quotidianamente il moncone con acqua tiepida.

• Diluire in acqua un cucchiaino da tè di detergente antisettico o sapone

• Mescolare il detergente o il sapone con l’acqua, finché non si forma la schiuma.

• Risciacquare con acqua pulita

• Per prevenire irritazioni al moncone, assicurarsi che sulla pelle non rimangano residui di sapone.

• Preferibilmente, eseguire la pulizia quotidiana del moncone di sera, poiché altrimenti la pelle umida potrebbe gonfiarsi e aderire alla protesi, provocando escoriazioni e ferite al moncone. Se questo non è possibile assicurarsi che il moncone sia veramente ben asciutto prima di indossare la protesi.

• La pulizia quotidiana della protesi è una premessa imprescindibile dalla cura del moncone.

• Pulire l’invasatura con acqua tiepida (non calda) e un po’ di sapone neutro.

• Rimuovere eventuali residui di sapone con un panno o un asciugamano leggermente intriso con acqua pulita (tiepida e non calda).

• Prima di indossare la protesi, asciugarla bene con uno asciugamano pulito.

Se usate un coprimoncone, è bene osservare le seguenti regole.

• Cambiare il coprimoncone ogni giorno e lavare quello sporco immediatamente dopo averlo tolto, così da evitare che il sudore si possa asciugare.

• Lavare il coprimoncone con acqua tiepida (non calda!) e sapone neutro. Strizzarlo bene e lasciarlo asciugare.

• Per dare al coprimoncone una buona forma mentre si asciuga, potete infilarvi un pallina da tennis.

Pulizia del bendaggio

• Lavare le bende elastiche con acqua tiepida (non calda) e sapone neutro.

• Risciacquarle accuratamente.

• Fare asciugare le bende elastiche su una superficie piana . Non appenderle e non metterle ad asciugare al sole o su un termosifone. Potrebbero comprometterne l’elasticità.

Problemi della pelle del moncone e possibili soluzioni

• Qualora si manifestino problemi alla pelle del moncone, consigliamo all’amputato di seguire que- ste indicazioni.

• Consultate immediatamente un medico, perché per risolvere i piccoli problemi a volte possono bastare piccoli accorgimenti o trattamenti lievi.

• Consultate immediatamente il tecnico ortopedico, che valuterà se occorre apportare modifiche all’invasatura della protesi. Un’invasatura che non sia adattata perfettamente, può infatti essere la causa dei problemi al moncone.

Pelle escoriata

• A volte indossando la protesi o sollecitandol’arto troppo a lungo,la pelle del moncone si può escoriare. In questo caso trattate il moncone detergendolo con acqua saponata e stendete un antisettico sulle parti escoriate. Prima di indossare la protesi nuovamente, verificare che sia ben asciutta.

• Se la pelle si escoria frequentemente, fate verificare dal tecnico ortopedico che l’invasatura sia adatta al vostro moncone. Se la pelle escoriata tende a infiammarsi, consultate uno specialista.

Vescicole

• Indossando continuamente la protesi, è possibile che occasionalmente compaiono delle vescicole. Le vescicole piccole e non dolorose, vanno medicate con un detergente antisettico e non vanno rotte. Per rompere le vesciche più grandi utilizzate solo strumenti sterili, per evitare che il pericolo di infezione. In presenza di vesciche grandi e dolorose, che compaiono spesso, consigliamo di con- sultare uno specialista.

Infezioni batteriche

• Le infezioni batteriche vanno trattate immediatamente, poiché possono compromettere enormemente l’uso della protesi.

• Un’infezione della radice del pelo costituisce una piccola infezione batterica molto diffusa, che va trattata nel modo che segue.

• Disinfettate quotidianamente le aree colpite con un antisettico e fatele asciugare all’aria.

Bubboni e ascessi

• Si tratta di altre due infezioni da non sottovalutare e il cui trattamento va assolutamente affidato al medico.

• Per una guarigione più rapida, è utile tenere il moncone in posizione orizzontale e indossare la protesi il meno possibile.

• In questi casi è consigliato il trattamento con impacchi molto caldi, da praticarsi ogni 3-4 ore per 30minuti.

Infezioni da miceti

Di solito non sono particolarmente pericolose, anche se compromettono il benessere dell’amputato.

Per prevenire e curarle:

• Seguite le indicazioni per la cura e l’igiene del moncone

• Esponete all’aria il più spesso possibile le parti colpite, in modo da favorirne l’asciugatura

• Mantenete la cute asciutta

Edemi

• Gli edemi si manifestano in seguito all’ amputazione dell’ arto, durante il processo di guarigione del moncone.

• Anche un’invasatura non adatta può essere la causa di edemi.

• Alcune regole comportamentali possono essere molto utili nella prevenzione e nel trattamento degli edemi del moncone.

• Spetta allo specialista o al tecnico ortopedico decidere se per ridurre l’edema possa essere utile un bendaggio.

• In questi casi la posizione del moncone è estremamente importante.Quando non usate la protesi, sistemare un cuscino sotto al moncone: questo aiuta a ridurre l’edema e favorisce la circolazione sanguigna.

• Per gli amputati trastibiali è importante tenere il moncone in posizione orizzontale e non tenere il ginocchio flesso per troppo tempo.

Bendaggio

Ha una importanza essenziale per la cura del moncone.

Gli obiettivi sono: ridurre e far scomparire gli edemi che insorgono in seguito all’amputazione dell’arto, inevitabili conseguenze del- l’intervento chirurgico; stimolare il metabolismo del moncone; modellarlo correttamente per otte- nere un attacco adeguato; contribuire a mitigare il dolore fantasma; proteggere il moncone da fri- zioni e urti che potrebbero danneggiarlo. Per ridurre gli edemi e dare al moncone una buona forma, vengono utilizzate particolari tecniche di bendaggio. Una volta avviato il processo di gua- rigione, il moncone viene bendato con delle bende elastiche. L’apprendimento del bendaggio da parte del paziente e dei suoi familiari è molto importante. La decisione sulla durata del bendaggio spetta al medico e al tecnico ortopedico. Il moncone può essere bendato anche in presenza di un edema temporaneo, che può essere provocato da una postura in piedi prolungata o da un aumento di peso del paziente. Gli edemi, oltre a compromettere la prova della protesi, danno spesso un’immagine falsata di quella che sarà la forma definitiva del moncone. Di seguito illustriamo una delle tecniche di bendaggio per monconi transtibiali e transfemorali.

Tecniche di bendaggio di moncone transfemorale

Per fasciare il moncone con le bende elastiche l’amputato può star in piedi oppure seduto. Eseguendo il bendaggio con l’aiuto di una seconda persona, per evitare che le bende scivolino giù. La benda deve essere larga tra 12 e i 15 cm. La lunghezza della benda dipende dalla lun- ghezza del moncone, anche se l’esperienza insegna che spesso va bene una benda lunga 4 m.

Fate passare la benda sotto l'estremità distale del moncone cominciando da davanti.

Mentre effettuate il ben- daggio il moncone deve essere ben esteso. Chiedete alla persona di estendere e addurre il moncone stando però rilassato

Fissate la benda con un primo bendaggio circolare.

Fissate le bende sul lato del bacino e controllate la pres- sione che deve man mano diminuire dall’estremità del moncone in direzione del bacino. Se dopo un paio di ore il bendaggio non è più ben teso,occorrerà ripetere il pro- cedimento sopra descritto.

Bendate poi il moncone con un bendaggio a forma di lisca di pesce, partendo dalla parte distale verso a prossimale. L’estremità del moncone deve essere bendata più stretta rispetto all’area del bacino.

Esercitando una leggera pressione, fate passare la benda sull’estremità distale el moncone cominciando da davanti.

A sicurezza e fissaggio del bendaggio, avvolgete anche il bacino come a descrivere un 8; questi giri di benda si devono incrociare sulla parte laterale del moncone e servono, se ben fatte, anche la tenere il moncone in adduzione

Tecniche di bendaggio di moncone transtibiale

Fissate la benda mediante un bendaggio circolare. Accertatevi che la pressione non sia eccessiva. Procedete circolarmente tendendo la benda leggermente, spostandovi leggermente fino ad aver raggiunto l’estremità distale del moncone.

Per evitare che scivoli, proseguite il bendaggio fino a sopra il ginocchio. Il ginocchio viene fasciato senza tendere le benda

Procedete ora dall’estremità distale del moncone, spostandovi verso la parte prossimale, avvolgendo il moncone circolarmente a spirale. NOTA: La compressione del bendaggio deve essere più intensa nella parte distale e minore nella parte prossimale.

Fissare il bendaggio.